martedì 5 luglio 2011

Primo monachesimo medievale

Egli andò in chiesa  pensando a queste cose e proprio in quel momento avvenne che ci fosse la lettura del Vangelo, e ascoltò la voce del signore che diceva all'uomo ricco: "Se vuoi essere perfetto, va, vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri, e troverai il tuo tesoro in paradiso". Fu come se il passaggio fosse letto sul suo conto. Immediatamente Antonio uscì dalla casa di Dio e diede ai poveri i beni che aveva ricevuto in eredità dagli antenati. (Athanasio, La Vita di Sant' Anthonio)

Attorno all'anno 270 un ragazzo di 20 anni chiamato Antonio (251-356), un Cristiano che era nato in Egitto entrò in una chiesa e nacque il monachesimo cristiano. Poi, dando via tutti i suoi beni, Antonio andò a vivere nel deserto. Anche se egli tornò nel "vecchio mondo" diverse volte nella sua vita, egli continuò a vivere in solitudine per il resto dei suoi giorni. Nel deserto egli pregava e si manteneva lavorando manualmente. Presto divenne famoso per la sua santità e altri uomini venivano a vivere vicini a lui, ed imitavano la sua esistenza solitaria. Antonio chiaramente abbracciò la vita ascetica, una orma di esistenza che divenne sempre più popolare dopo che il Cristianesimo divenne la religione principale dell'impero romano. Ora che il martirio non era più possibile molta gente vedeva in Antonio una nuova via fondamentale per dimostrare la sua devozione a Dio.
Furono i monaci e il movimento monastico a plasmare la primitiva civiltà medievale. L'ideale ascetico di fuggire il mondo materialistico, di abbandonare ogni possedimento mondano e dedicarsi alla meditazione e alla preghiera è comune a molte religioni. Ciò che distingue il movimento monastico europeo è che per molti secoli i monaci furono gli eroi della civiltà medievale.
Il monachesimo Cristiano iniziò con il volo di Sant'Antonio nel terzo secolo in Egitto. Lì Antonio viveva una vita ascetica e solitaria.  Ma c'erano difficoltà pratiche  che rendevano difficile l'espandersi del monachesimo. Vivendo come un eremita non si trovava facilmente da mangiare e non si poteva partecipare alla preghiera comune richiesta da tutti i cristiani. A peggiorare le cose c'era il fatto che vivere come un eremita creava problemi psicologici. Per portare una soluzione a questi problemi un altro eremita del deserto, Pachormio, raggruppò i suoi seguaci in una comunità e stilò per loro la prima regola monastica. I suoi monaci dovevano praticare la castità, la povertà, e obbedienza a un abate spirituale (padre spirituale).
A partire dal V secolo questa forma di cenobio (vita in comune) monastico acquistò una potente attrattiva nell'occidente e si sviluppò rapidamente. Naturalmente, come ogni altro movimento, il movimento monastico si divise rapidamente in varie forme e sette. Una ragione di base per questo sviluppo è che tutti i grandi padri della chiesa come Agostino,  Gerolamo, e Ambrogio avevano tutti dato specifiche istruzioni ai monaci e agli altri per un atteggiamento ascetico. I monaci attraversarono l'Europa fondando monasteri e predicando ai pagani. Essi inoltre si sforzavano di riformare la chiesa. E, cosa più importante di tutte,  furono i monaci dell'Alto Medioevo europeo a continuare l'apprendimento di lettura e scrittura e a mantenere viva la cultura classica.
San BenedettoFu San Benedetto da Norcia  (480-543) che ruppe l'uniformità e l'ordine nel primo movimento monastico medievale. La regola benedettina, come fu chiamata e conosciuta, è il solo lavoro di sua mano sopravvissuto ed esiste una controversia considerevole sulla sua composizione. Trascorrendo la sua giovinezza a Roma come studente Benedetto fu disgustato dai vizi e dalla corruzione incontrati nella città del papa. Egli scappò nelle zone selvagge e , come spesso accade agli asceti, cominciò ad attrarre discepoli. Benedetto organizzò questi discepoli in comunità, originalmente a Subiaco.  Scacciato da Subiaco da un prete geloso Benedetto fondò una nuova comunità a Monte Cassino (529) Fino al termine della sua vita Benedetto Benedetto rielaborò la regola per la sua comunità. La Regola era come una costituzione da applicare a molte comunità.  Dotato di pieni poteri l'abate aveva l'autorità sulla comunità; egli era eletto a vita e non poteva essere sostituito. Un monaco non aveva il potere di lasciare la comunità o di rifiutare l'obbedienza.
Come eroi dell'Europa medievale i monaci esercitarono una potente influenza su tutti gli aspetti della società. Le conoscenze e l'abilità nell'agricoltura, la mescolanza di lavoro manuale e intellettuale, di preghiera e produzione permisero ai monaci benedettini di ridare dignità al lavoro manuale e nello stesso tempo di rendere fertili vasti appezzamenti di terreno e di offrire un esempio di imprese agricole redditizie a chi avesse voluto approfittarne.
Col tempo potenti famiglie medievali cominciarono a costruire monasteri sui loro territori. Sia che le loro motivazioni fossero spirituali, sia che non lo fossero,  è chiaro che avere un monastero nelle proprie terre era un sicuro segno di grazia.  Gli abati erano spesso appartenenti a queste potenti famiglie e così accadeva che i monasteri erano spesso gestiti nell'interesse di queste potenti famiglie. In questo modo i monasteri molto rapidamente si integrarono nelle relazioni di potere della società medievale.
Partendo da una prospettiva culturale i monasteri ospitavano forse le persone più istruite nella società medievale.
Dopo tutto si dava per scontato che tutti i monaci sapessero leggere e scrivere. I monasteri avevano biblioteche e "scriptoria" (stanze degli amanuensi) nelle quali erano copiati i manoscritti. Questi manoscritti erano spesso decorati o illustrati. Ma perché i monaci trascorrevano tanto tempo ed energia ad illustrare i manoscritti? Dal momento che le loro vite erano dedicate alla Parola e a preservare la Parola per i posteri, quale modo migliore di dimostrare la Parola che dare ad essa l'attenzione che essa meritava?
I monaci diventarono eroi dell'Alto Medioevo per tante ragioni. Essi avevano chiaramente dedicato le loro vite all'adorazione di Dio. Le loro vite servivano da esempio per gli altri. Essi inoltre fornivano un senso di sicurezza in un mondo che sempre sembrava sull'orlo di un tumulto o di una catastrofe. Essi fondarono un'organizzazione, il monastero, che permetteva loro di vivere in comunità -alcuni monaci lavoravano la terra, alcuni copiavano e illustravano manoscritti, mentre ancora alcuni altri leggevano e studiavano. E, naturalmente, a motivo del loro ascetismo, i monaci divennero il veicolo di un cambiamento economico e culturale   --  essi insegnarono all'Europa medievale a conservare il passato e a investire sul futuro. 

Tratto da "The History guide" di Steven Kreis

lunedì 4 luglio 2011

Un eremita in Capriasca

Noi, cari ragazzi, siamo abituati a vivere in una società di massa. Questo significa che siamo sempre immersi fra la gente. È difficile concepire la nostra esistenza al di fuori di questo schema. Eppure vi sono delle persone che riescono a vivere benissimo anche fuori da questo ordine di cose. La persona che meglio rappresenta questa categoria di gente è sicuramente l’eremita. Ecco quindi che, per questo numero dedicato alla gente, ho pensato di parlarvi di qualcuno che vive via dalla gente stessa. Ovviamente, per essere ben informati sul tema degli eremiti bisogna incontrarne uno e sentire da lui le ragioni della sua scelta. Trovare un eremita da intervistare è stato per me facile in quanto in un paese poco lontano dal mio, Roveredo TI, se ne trovano addirittura due, padre Gabriel ed il ticinese di Novazzano padre Raffalele. Eh, mi sono detto, almeno l’eremita da intervistare l’ho trovato. Mi restava pur sempre un certo timore. Cosa dire? Quali domande fargli? Insomma, pensavo che lui fosse una persona diversa da noi. Non appena ho conosciuto padre Gabriel ho però subito cambiato idea. Lui stesso ha tenuto a precisarmi: “Sono un uomo come tutti gli altri!”.
Allora il mio timore è subito sparito e si è fatta largo una grande curiosità. Conoscevo pochissimo della vita di un eremita. Quando pensavo a questa parola mi veniva in mente una persona vestita di nero e che viveva chissà come in un posto lontano da tutto e tutti. Per me si trattava quindi di capire il perché di una simile scelta tanto strana per noi. Innanzitutto padre Gabriel mi spiega: “Non è poi una scelta così strana e anormale. Nella lunga storia della Chiesa ve ne sono sempre stati, basta pensare ai primi grandi precursori quali Elia, Giovanni Battista e Sant’Antonio Abate. Anche qui in Ticino la presenza di eremiti è sempre stata una costante: gli eremi di S. Bernardo e di S. Zeno ed il Beato di Riva San Vitale ne sono un chiaro esempio”. Ma, gli chiedo, è proprio necessario ritirarsi a vivere lontano dalla gente? Lui mi spiega: “il nome stesso di eremita, che proviene dal termine greco Eremos = deserto, significa colui che vive nel deserto. La scelta di vivere isolati è dettata dal fatto che si cerca di trovare la pace. Lo scopo della nostra vita di monaci, di persone che vivono da sole, è spiegato molto bene in una frase di uno dei nostri padri precursori, Macario il grande:”Il monaco è colui che notte e giorno conversa con Dio e pensa solo alle cose a lui inerenti non avendo possedimenti sulla terra”. Noi monaci seguiamo la figura di Antonio Abate; non viviamo in mezzo alla gente e ci sforziamo di pensare alle cose di Dio senza però essere distaccati da tutto. La nostra scelta di vivere isolati non vuole dire che ci ritiriamo alla periferia della Chiesa ma che, anzi, siamo nel suo cuore. Noi, non fuggiamo la gente, ma abbiamo sempre per lei un grande amore ed una grande carità cristiana. Noi, non dimentichiamo la gente, ma prendiamo però le distanze dalla società moderna che non permette più di restare soli con se stessi. L’esistenza del monaco è quindi all’opposto di quella delle persone che vivono nella società. Un Padre della Chiesa diceva che solo chiusi nella propria camera si può ritrovare completamente se stessi e quindi, di conseguenza, si può ritrovare Dio. Come può parlare con Dio un uomo che non è in pace con se stesso?“Noi qui seguiamo la regola di San Benedetto che ci esorta a pregare ed a lavorare (Ora et Labora). Da questo risulta che la mia giornata è divisa in due momenti ben distinti: quello dedicato alla preghiera e quello dedicato al lavoro. Faccio sette momenti di preghiera al giorno, due lunghi al mattino ed alla sera e cinque più brevi durante la giornata. Il lavoro consiste invece nel fare l’orto, nel tagliare la legna, nel tradurre i libri… Un altro lavoro importante che svolgo è quello di incontrare la gente che viene a trovarmi. Vedi che non sono poi spiritualmente e, a volte, anche fisicamente lontano da essa? Io non dimentico mai a gente, prendo solo le distanze da essa”.
Ho dunque scoperto che l’eremita non ha il tempo di annoiarsi: le sue giornate sono sempre piene di attività. A questo punto le mie domande sono inerenti a padre Raffaele, l’eremita ticinese. A suo riguardo, padre Gabriel mi dice:“Bisogna imparare a fare l’eremita. Raffaele è qui da sette anni sotto la mia guida. I giovani hanno sempre, in ogni campo, bisogno di qualcuno che li aiuti nella loro crescita spirituale. Se tu vedi un giovane salire da solo in cielo tiralo giù per i piedi, diceva un vecchio Padre dalla Chiesa. Bisogna evitare il rischio che si facciano una religione a loro misura e per questo bisogna far sì che si sottomettano ad una guida”.
Padre Gabriel non scende quasi mai in paese, solo quando deve fare delle spese importanti e questo molto raramente. ” La mia intenzione è quella di rimanere qui per sempre” mi dice, “anche se un eremita non deve affezionarsi alle cose terrene. Devo essere pronto a lasciare il mio eremo in qualsiasi momento. Soprattutto se questo verrà a trovarsi troppo vicino alla civiltà“. Certo, si può capire che sarebbe triste per lui dover lasciare quell’oasi di pace. Anche a livello di infrastrutture, l’eremo è proprio carino.
Ci sono le piccole casette dei due monaci, una cappellina ed un’altre casetta in via di riattazione. Tutto il posto è stato infatti recentemente rimesso a nuovo. Dopo questo incontro mi sembra di avere una panoramica abbastanza chiara di ciò che vuol dire essere eremita. Solo ancora un piccolo dettaglio mi resta oscuro e quindi mi faccio illuminare dalle spiegazioni di padre Gabriel. Mi interessa sapere cosa faceva prima di ritirarsi nell’eremo:” Ho studiato filosofia per due anni e poi, a 22 anni, sono entrato in un convento benedettino. In questo periodo ho seguito i corsi di teologia all’università. Sono rimasto in convento per diciott’anni e da dodici vivo qui…
Conoscere padre Gabriel è stata per me una bellissima scoperta. Prima di salutarmi, padre Gabriel mi dice ancora un’ultima cosa:” Non aver paura di scrivere cose troppo difficili nel tuo articolo. I bambini, anche se forse non lo capiranno tutto, riceveranno una prima informazione sulla vita di un eremita.
A questo punto lascio il suo bel eremo e torno a casa pieno di energia e di entusiasmo per scrivere il mio articolo. Concludo ringraziando padre Gabriel per la sua gentilissima disponibilità e augurandogli di godere per sempre della pace che a trovato in quel delizioso posto sopra Rovereto.


Giacomo Baruffali, Articolo apparso su “Semi di bene”, Rivista per ragazzi e sul bollettino parrocchiale di Tesserete, agosto/novembre 1992