lunedì 4 luglio 2011

Un eremita in Capriasca

Noi, cari ragazzi, siamo abituati a vivere in una società di massa. Questo significa che siamo sempre immersi fra la gente. È difficile concepire la nostra esistenza al di fuori di questo schema. Eppure vi sono delle persone che riescono a vivere benissimo anche fuori da questo ordine di cose. La persona che meglio rappresenta questa categoria di gente è sicuramente l’eremita. Ecco quindi che, per questo numero dedicato alla gente, ho pensato di parlarvi di qualcuno che vive via dalla gente stessa. Ovviamente, per essere ben informati sul tema degli eremiti bisogna incontrarne uno e sentire da lui le ragioni della sua scelta. Trovare un eremita da intervistare è stato per me facile in quanto in un paese poco lontano dal mio, Roveredo TI, se ne trovano addirittura due, padre Gabriel ed il ticinese di Novazzano padre Raffalele. Eh, mi sono detto, almeno l’eremita da intervistare l’ho trovato. Mi restava pur sempre un certo timore. Cosa dire? Quali domande fargli? Insomma, pensavo che lui fosse una persona diversa da noi. Non appena ho conosciuto padre Gabriel ho però subito cambiato idea. Lui stesso ha tenuto a precisarmi: “Sono un uomo come tutti gli altri!”.
Allora il mio timore è subito sparito e si è fatta largo una grande curiosità. Conoscevo pochissimo della vita di un eremita. Quando pensavo a questa parola mi veniva in mente una persona vestita di nero e che viveva chissà come in un posto lontano da tutto e tutti. Per me si trattava quindi di capire il perché di una simile scelta tanto strana per noi. Innanzitutto padre Gabriel mi spiega: “Non è poi una scelta così strana e anormale. Nella lunga storia della Chiesa ve ne sono sempre stati, basta pensare ai primi grandi precursori quali Elia, Giovanni Battista e Sant’Antonio Abate. Anche qui in Ticino la presenza di eremiti è sempre stata una costante: gli eremi di S. Bernardo e di S. Zeno ed il Beato di Riva San Vitale ne sono un chiaro esempio”. Ma, gli chiedo, è proprio necessario ritirarsi a vivere lontano dalla gente? Lui mi spiega: “il nome stesso di eremita, che proviene dal termine greco Eremos = deserto, significa colui che vive nel deserto. La scelta di vivere isolati è dettata dal fatto che si cerca di trovare la pace. Lo scopo della nostra vita di monaci, di persone che vivono da sole, è spiegato molto bene in una frase di uno dei nostri padri precursori, Macario il grande:”Il monaco è colui che notte e giorno conversa con Dio e pensa solo alle cose a lui inerenti non avendo possedimenti sulla terra”. Noi monaci seguiamo la figura di Antonio Abate; non viviamo in mezzo alla gente e ci sforziamo di pensare alle cose di Dio senza però essere distaccati da tutto. La nostra scelta di vivere isolati non vuole dire che ci ritiriamo alla periferia della Chiesa ma che, anzi, siamo nel suo cuore. Noi, non fuggiamo la gente, ma abbiamo sempre per lei un grande amore ed una grande carità cristiana. Noi, non dimentichiamo la gente, ma prendiamo però le distanze dalla società moderna che non permette più di restare soli con se stessi. L’esistenza del monaco è quindi all’opposto di quella delle persone che vivono nella società. Un Padre della Chiesa diceva che solo chiusi nella propria camera si può ritrovare completamente se stessi e quindi, di conseguenza, si può ritrovare Dio. Come può parlare con Dio un uomo che non è in pace con se stesso?“Noi qui seguiamo la regola di San Benedetto che ci esorta a pregare ed a lavorare (Ora et Labora). Da questo risulta che la mia giornata è divisa in due momenti ben distinti: quello dedicato alla preghiera e quello dedicato al lavoro. Faccio sette momenti di preghiera al giorno, due lunghi al mattino ed alla sera e cinque più brevi durante la giornata. Il lavoro consiste invece nel fare l’orto, nel tagliare la legna, nel tradurre i libri… Un altro lavoro importante che svolgo è quello di incontrare la gente che viene a trovarmi. Vedi che non sono poi spiritualmente e, a volte, anche fisicamente lontano da essa? Io non dimentico mai a gente, prendo solo le distanze da essa”.
Ho dunque scoperto che l’eremita non ha il tempo di annoiarsi: le sue giornate sono sempre piene di attività. A questo punto le mie domande sono inerenti a padre Raffaele, l’eremita ticinese. A suo riguardo, padre Gabriel mi dice:“Bisogna imparare a fare l’eremita. Raffaele è qui da sette anni sotto la mia guida. I giovani hanno sempre, in ogni campo, bisogno di qualcuno che li aiuti nella loro crescita spirituale. Se tu vedi un giovane salire da solo in cielo tiralo giù per i piedi, diceva un vecchio Padre dalla Chiesa. Bisogna evitare il rischio che si facciano una religione a loro misura e per questo bisogna far sì che si sottomettano ad una guida”.
Padre Gabriel non scende quasi mai in paese, solo quando deve fare delle spese importanti e questo molto raramente. ” La mia intenzione è quella di rimanere qui per sempre” mi dice, “anche se un eremita non deve affezionarsi alle cose terrene. Devo essere pronto a lasciare il mio eremo in qualsiasi momento. Soprattutto se questo verrà a trovarsi troppo vicino alla civiltà“. Certo, si può capire che sarebbe triste per lui dover lasciare quell’oasi di pace. Anche a livello di infrastrutture, l’eremo è proprio carino.
Ci sono le piccole casette dei due monaci, una cappellina ed un’altre casetta in via di riattazione. Tutto il posto è stato infatti recentemente rimesso a nuovo. Dopo questo incontro mi sembra di avere una panoramica abbastanza chiara di ciò che vuol dire essere eremita. Solo ancora un piccolo dettaglio mi resta oscuro e quindi mi faccio illuminare dalle spiegazioni di padre Gabriel. Mi interessa sapere cosa faceva prima di ritirarsi nell’eremo:” Ho studiato filosofia per due anni e poi, a 22 anni, sono entrato in un convento benedettino. In questo periodo ho seguito i corsi di teologia all’università. Sono rimasto in convento per diciott’anni e da dodici vivo qui…
Conoscere padre Gabriel è stata per me una bellissima scoperta. Prima di salutarmi, padre Gabriel mi dice ancora un’ultima cosa:” Non aver paura di scrivere cose troppo difficili nel tuo articolo. I bambini, anche se forse non lo capiranno tutto, riceveranno una prima informazione sulla vita di un eremita.
A questo punto lascio il suo bel eremo e torno a casa pieno di energia e di entusiasmo per scrivere il mio articolo. Concludo ringraziando padre Gabriel per la sua gentilissima disponibilità e augurandogli di godere per sempre della pace che a trovato in quel delizioso posto sopra Rovereto.


Giacomo Baruffali, Articolo apparso su “Semi di bene”, Rivista per ragazzi e sul bollettino parrocchiale di Tesserete, agosto/novembre 1992

1 commento:

  1. Da un aspirante eremita, grazie! ho apprezzato molto l'articolo, nella sua semplicità e brevità è stato esaustivo per un primo approccio con questa bellissima vocazione.Sufficientemente stimolante per suscitare il desiderio di approfondire l'argomento.

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