giovedì 7 ottobre 2010

Olivier Clément LA FILOCALIA: I testi - La via - La pratica (”pràxis”) - La contemplazione della natura ('phhysikè theorla”) - La deificazione (”théosis”).

Filocalia significa 'amore per la bellezza”, o anche, più banalmente, florilegio, antologia. La bellezza in questione è quella di Dio, che si riflette nella creazione, sebbene le forze del nulla, con la nostra complicità, deturpino in parte il creato. Lo scopo dei testi filocalici è di aiutarci, in Cristo, a liberare ogni bellezza. Possiamo così capire la definizione di Dionigi l'Areopagita: la bellezza “suscita ogni comunione”. Per questo padre André Scrima ha potuto affermare che il genio dell'ortodossia è “filocalico”.
Ogni raccolta di testi spirituali destinata a favorire e interiorizzare la preghiera è una piccola filocalia. Ciascuno può così comporre la propria. Ma certe grandi filocalie sono state veri e propri eventi che hanno segnato la storia della chiesa. Fu così che Basilio il Grande e Gregorio il Teologo nel IV secolo salvarono, facendone una filocalia”, i più bei testi di Origene, il cui sistema di pensiero era sempre più contestato. Analoghe, seppur più brevi, presentazioni di questo tipo appaiono anche nel periodo propriamente bizantino, come ad esempio il Trattato sulla sobrietà e sulla custodia del cuore' di Niceforo l'Esicasta. Quella, tuttavia, che ha finito per essere riconosciuta come la “filocalia” per antonomasia, è la grande Filocalia greca, pubblicata a Venezia (lontano dai vincoli dell'Impero ottomano) nel 1782. Il solo autore non di lingua greca in essa è Giovanni Cassiano che è tuttavia tradotto.
La grande Filocalia è uno dei frutti, nonché uno degli strumenti, di quel rinnovamento spirituale che, negli ultimi decenni del XVIII secolo, strappò la chiesa ortodossa alla decadenza e la rese capace di affrontare i tempi nuovi dell'Europa dei “Lumi”. in Grecia, grazie al messaggio e all'azione di Cosma Etolo; in Russia, con la spiritualità già dostoievskiana di Tichon di Zadonsk e il moltiplicarsi dei gruppi di preghiera femminili; nei paesi romeni, che servivano da rifugio ai monaci russi e ucraini più contemplativi, mediante l'irraggiamento dello starec Basilio di Poiana Màrului. La decadenza a cui alludo è quella evidenziata dallo scisma e dalle sette nella chiesa russa, il cui patriarcato era stato soppresso da Pietro il Grande; quella favorita dal dominio della Porta sul patriarcato ecumenico e dei pascià sull'episcopato, spesso forzato alla simonia; quella prodotta dall'oblio, nei monasteri, dei testi fondatori della vita spirituale… Il rinnovamento spirituale che contrastò tale decadenza avvenne grazie alla ripresa di una teologia e di una vita sacramentale fedeli alla tradizione. E' a tal fine che i curatori della Filocalia, Macario (Notaras), già metropolita di Corinto, e Nicodemo l'Aghiorita (cioè della Santa Montagna, l'Athos) pubblicarono un'opera molto documentata che raccomandava una pratica regolare della comunione e che criticava il rito ad essa sostitutivo costituito dalla consumazione domenicale delle collive, i dolci per i morti (fu la celebre disputa dei “collivadi”, che infuriò per molto tempo all'Athos). Nicodemo aveva iniziato a pubblicare a Vienna le opere di Gregorio Palamas e di Simeone il Nuovo Teologo, ma tutti i volumi che aveva stampato furono distrutti da un incendio, senza dubbio doloso.
I due amici si dedicarono allora alla Filocalia. Essa apparve senza complicazioni con il titolo: Filocalia dei santi padri neptici compilata a partire dai nostri padri santi e teofori, nella quale, attraverso la pratica (pràxis) e la contemplazione (theorìa) della filosofia morale, l'intelletto è purificato, illuminato e reso perfetto. Corretta con grandissima cura e stampata ora a spese del molto onorevole e molto amato da Dio signor Giovanni Maurokordatos per l'utilità comune degli ortodossi (Venezia 1782, nella stamperia di Antonio Bortoli). Spieghiamo qualche termine:
- neptico: che si dedica alla népsis, attenzione, vigilanza, veglia;
- filosofia morale: sapienza spirituale;
-intelletto: in greco nous, l'organo della contemplazione;
-Giovanni Maurokordatos: un signore romeno, forse il figlio di un principe moldavo. I romeni, che avevano salvaguardato una certa autonomia, furono i principali benefattori dei monaci dell'Athos e dei luoghi santi.
Macario e Nicodemo ricoprirono ruoli differenti ma ugualmente importanti nella genesi della Filocalia. Il primo ricercò, scoprì e scelse i testi in base alla loro qualità, il secondo redasse le introduzioni e l'importante prefazione.
Quello che la Filocalia vuole riproporre in modo aggiornato, forse per adattare la tradizione ai tempi nuovi, attraverso la divulgazione di ciò che, pur non essendo segreto, restava coperto da grande discrezione, è la tradizione esicasta (dal greco hesychia: pace, silenzio dell'unione con Dio) che è stata ed è tuttora l'anima del monachesimo orientale, e che Gregorio Palamas aveva giustificato teologicamente nel XIV secolo. Non si tratta dunque di una “scuola di spiritualità” nel senso occidentale dell'espressione, bensì del cuore stesso dell'esistenza ortodossa, in cui il dogma è inseparabile dalla preghiera.
Macario dice di aver scoperto nella biblioteca del monastero di Vatopedi “un'antologia sull'unione dell'intelletto con Dio, raccolta a partire dagli scritti degli antichi padri, per opera di pii monaci d'altri tempi”; egli afferma altresì d'aver trovato anche altri libri sulla preghiera “dei quali non aveva mai sentito parlare”, il tutto notevolmente in cattivo stato. Senza dubbio è da qui che prende l'ispirazione per il suo grande lavoro. Del resto, a partire dal 1700, la versione greca delle opere di Isacco di Ninive era stata edita sotto il nome di Isacco il Siro - incrocio significativo del genio siriaco e di quello greco -.
La Filocalia, dice Nicodemo nella sua prefazione, è rivolta “sia ai monaci che ai laici”, tutti chiamati a “unificarsi” interiormente unendosi a Dio, e mediante tale unione, in Cristo, a unirsi con tutti gli uomini, secondo la preghiera sacerdotale del Signore “che tutti siano uno come noi siamo uno” (Gv 17,22). Per questa ragione gli ultimi testi della raccolta, i quali insistono con maggior frequenza sull'uso concreto del “metodo”, sono redatti in lingua popolare. E' per questo motivo che in essi sono deliberatamente ignorati i riti e i dettagli della vita monastica. Per lo stesso motivo, infine, sono evitate le polemiche con gli altri cristiani.
I testi
Per quanto riguarda i testi inclusi nella Filocalia, solo raramente si tratta di estratti. Più spesso sono trattati, centurie e insiemi coerenti di capitoli a essere riportati integralmente. Ciascuno di essi è introdotto con cura, e Nicodemo utilizza le migliori conoscenze della sua epoca. Nel farlo, questo detrattore degli “illuministi si mostra perfettamente al corrente delle ricerche occidentali del suo tempo.
I vari autori sono disposti in ordine cronologico. Troviamo all'inizio le prime testimonianze monastiche, con un netto predominio di Evagrio Pontico. Costui, per primo, aveva cercato di concettualizzare l'esperienza del deserto, attribuendo, in una prospettiva origeniana, un posto centrale al nous (l'intelletto). Le tappe della purificazione del nous, il discernimento e - se così si può dire - la classificazione delle passioni, l'approdo alla luce interiore e il suo superamento finale, sono tutte esperienze stabilite in modo chiaro. Molto più in là, alla ventesima posizione, troviamo la versione di Simeone Metafraste (fine del X secolo) del corpus macariano. Sappiamo che l'antropologia di “Macario” è molto più biblica ed è incentrata sul “cuore”. L'unione dell'intelletto e del cuore appare allora come il tratto essenziale della prassi esicasta, ma la tonalità della Filocalia resta evagriana.
Di seguito si trovano testi scritti durante il periodo propriamente patristico culminante in Massimo il Confessore. Sono inoltre compresi nell'antologia di Nicodemo gli apporti del Sinai e del monachesimo siro-palestinese. Il vescovo Diadoco di Fotica (Epiro, fine del V secolo) menziona esplicitamente, per la prima volta, l'invocazione “Signore Gesù”, e pone in risalto i sensi spirituali e l'esperienza della pienezza (plerophoria).
Dello stesso Massimo il Confessore sono riprese le Centurie sulla carità, a cui seguono i duecento Capitoli sulla teologia e sull'economia dell'incarnazione del Figlio di Dio e i cinquecento Capitoli vari sulla teologia e l'economia, sulla virtù e il vizio. Non ci si soffermerà mai troppo sull'immensa sintesi di Massimo, né è possibile presentarla in poche parole. Ci limitiamo a rilevare, essendo divenuto uno dei tratti salienti della via filocalica, il ruolo della “contemplazione naturale” (physikè theoria) che permette di discernere il Logos attraverso il velo trasparente della natura e delle Scritture.
Poi, all'incrocio tra il primo e il secondo millennio cristiano, nel cuore stesso di Costantinopoli, troviamo l'esplosione carismatica con i due Simeone, l'Anziano e il Nuovo Teologo, che continuerà con il discepolo del secondo, Niceta Stethatos. In questi autori l'essenziale è il “battesimo dello Spirito”, l”'improvvisamente” della grazia e la relativizzazione della gerarchia dinanzi alla libera esperienza della Luce.
Alla fine del XIII e nel XIV secolo, in un'epoca tragica per la chiesa “greca” a motivo delle invasioni da oriente (turchi e mongoli) e da occidente (lo smembramento dell'impero bizantino dopo la quarta crociata, i cavalieri teutonici), delle guerre civili in ciò che restava di Bisanzio e della spinta serba nei Balcani, la via esicasta è riadattata e trasmessa in parte per iscritto. La forte sintesi palamita unisce esperienza e teologia, impedendo a quest'ultima di trasformarsi, come in occidente, in scienza speculativa. Un quarto della Filocalia è dedicato all'opera di Gregorio Palamas con, come è noto, le Triadi in difesa dei santi esicasti e i Capitoli fisici, teologici, etici e pratici. In tal modo si precisa l'antinomia tra il Dio inaccessibile, essenza sovraessenziale, e il medesimo Dio che, per amore, si rende partecipabile nelle sue “energie”, cioè tramite le sue operazioni che ne comunicano la vita e la luce. Seguono i grandi mistici della seconda metà del XIV secolo, Callisto e Ignazio Xanthopouloi, Callisto Telikoudes e Callisto Kataphyghiotes.
La Filocalia si conclude con una mezza dozzina di piccoli trattati, tradotti (spesso molto liberamente) in greco moderno. Se si eccettuano due estratti della vita di Massimo il Kausokalyba (il “brucia capanne”, perché rifiutava tutte le installazioni stabili all'Athos) e di Gregorio Palamas, si tratta di indicazioni concrete sull'uso della preghiera esicasta per aiutare coloro, monaci o semplici laici, che avrebbero voluto dedicarvisi:
- di un anonimo, Sulle parole della santa preghiera: Signore Gesù Cristo, Piglio di Dio, abbi pietà di me.
- di un altro anonimo, un trattato sul Kyrie eleison il cui uso giaculatorio precede di solito quello dell'invocazione del Nome di Gesù.
- attribuito a Simeone il Nuovo Teologo, in realtà più tardo, il Metodo, sui tre modi della preghiera.
- di Gregorio il Sinaita, grande difensore e propagatore della preghiera di Gesù all'Athos e in Bulgaria attorno al 1300, Come ciascuno deve dire la preghiera.
La via
La via filocalica implica una concezione unitaria dell'uomo e presuppone che tutto l'uomo, anima e corpo, si faccia preghiera, diventando pura relazione con Dio attraverso Gesù Cristo, e prenda così coscienza della propria resurrezione nel Risorto. L'intelletto deve porre le sue radici nel “cuore”, dove l'uomo è chiamato a unificarsi e a superarsi, cioè a scoprire in se stesso, come dice Nicodemo, “il regno di Dio, il tesoro nascosto nel campo del cuore”. Questa discesa dell'intelletto si compie nell' invocazione della presenza di Gesù e attraverso tale presenza, cioè mediante l'invocazione del suo Nome. A partire dall'Athos del periodo bizantino, la formula abitualmente impiegata è: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me”.
Formula implicitamente trinitaria:
- la parola “Signore” confessa la divinità di Gesù;
- la parola “Dio”, come in tutto il cristianesimo antico, designa il Padre, sorgente della divinità;
- la parola “Cristo”, cioè l'unto, evoca lo Spirito nel quale il Cristo è generato e che costituisce l'unzione messianica del Figlio.
Il Nome è invocato seguendo il ritmo del respiro, immagine in ogni essere umano del Soffio divino, poiché, come dice Giovanni Damasceno, “lo Spirito è l'enunciazione del Verbo”. Il corpo umano è destinato a divenire “tempio dello Spirito santo” (1Cor 6,19); il respiro lo si può non tanto dominare (non facciamo dello yoga), bensì offrire, pacificare, al fine di rappacificare tutto il nostro essere. L'ingiunzione evangelica e paolina di “pregare senza interruzione” presuppone (e permette di comprendere) che la preghiera rappresenti l'essere stesso dell'uomo, la relazione che lo costituisce, la risposta dell”'immagine” al suo archetipo che, a poco a poco, la rende “somigliante”.
La formula non è un mantra. Molte altre formule, più brevi o più lunghe, sono state usate; ancora oggi il Kyrie eleison è spesso utilizzato prima di iniziare la vera e propria invocazione del Nome di Gesù.
Il “metodo” risale al monachesimo delle origini, e forse è radicato nella mistica ebraica della merkabah, il carro di fuoco del profeta Elia, carro al quale viene assimilato il cuore che, al culmine della preghiera, risulta come incendiato. La ripetizione di una breve formula per concentrare l'intelletto è universale, dallo hata-yoga indiano al nembutsu dell'amidismo giapponese (quanto al dhikr dei sufi, sembra che siano stati questi ultimi a mutuarlo dai monaci del cristianesimo orientale i quali tuttavia non cercano mai la trance ).
L'uso esicasta di tali tecniche, nondimeno, è fondamentalmente biblico e cristiano.
La postura raccomandata simboleggia la supplica di fronte al Trascendente: essa non esprime padronanza e serenità, ma un appello de profundis, a capo chino, spalle dolorosamente incurvate, e qualche volta con la testa tra le ginocchia, come Elia sul Carmelo (cf. 1Re 18,42), così che il corpo in preghiera indica l'Altro. Il contesto è ascetico, non per schiacciare la natura, ma per liberarla dagli elementi di morte che la imprigionano, per strappare le pelli morte, affinché la vita stessa del Cristo possa penetrare nella natura e farla risorgere. L'ascesi, certo, è digiuno, castità e vigilanza (népsis).
- Il digiuno, non solamente dal cibo ma anche dalle “passioni”, soprattutto dalla maldicenza, permette contemporaneamente ritiro e apertura, leggerezza interiore e accoglienza.
- La castità unifica l'anima e il corpo in uno slancio di comunione, sia essa relazione fedele nel matrimonio, o invece esaltazione e consumazione dell' éros nell'agàpe divina (che la Filocalia, più spesso chiama éros), in modo che il monaco diventi “separato da tutti e unito a tutti”.
- La veglia è l'attesa dello Sposo che viene nel mezzo della notte, illuminando in maniera pasquale le tenebre. Gli esicasti praticano il sonno breve e interrotto, la veglia notturna, in parte liturgica, e in parte dedicata alla “preghiera di Gesù”, come l'ha richiesta ai suoi monaci il padre spirituale contemporaneo Iosiph l'Esicasta.
Così articolata, la via esicasta comporta tre tappe principali:
- la pràxis,
- la physikè theoria,
- la théosis.
La pratica (”pràxis”)
E’ il combattimento - la “pratica” per la custodia dei comandamenti, per liberarsi dalle “passioni” e cominciare a prendere coscienza della grazia battesimale. Le “passioni” sono le idolatrie, le illusioni che s'impadroniscono dell'uomo, lo “possiedono” (nel senso di una possessione diabolica), lo traviano, o gli fanno cambiare direzione oppure bloccano le sue forze originariamente buone. La passione principale è la morte, che affascina l'uomo e al tempo stesso lo riempie di angoscia. La chiave della metànoia, che è il ribaltamento di tutto il nostro modo di cogliere il reale, è dunque la “memoria della morte”, con la quale l'uomo, scoprendo in sé questo abisso, vi scopre altresì il Cristo che non cessa di discendere agli inferi per riportarlo alla vita. E' l'esperienza, sempre da rinnovarsi, della grazia battesimale: “Grazia perfetta del santissimo Spirito che il Signore ha effuso nei nostri cuori come seme divino attraverso il battesimo”, scrive Nicodemo. Il battesimo (la Filocalia ne parla molto di più che dell'eucaristia, citata solitamente in termini fortemente metaforici o in testi tardivi) è così la “radice della nostra resurrezione”. Il “dono delle lacrime” esprime questo rovesciamento: lacrime “ascetiche” anzitutto, quando scandagliamo l'abisso della morte; lacrime “pneumatiche”, spirituali, quando comprendiamo con tutto il nostro essere che Cristo si frappone tra il nulla e noi, e dunque che il nulla non esiste più.
Nell'ascesi - la pràxis -, come in seguito nella contemplazione, la Filocalia rifiuta ogni immaginazione; tuttavia l'esicasta vive in un mondo di icone, cioè di immagini che egli attraversa per diventare a sua volta icona. Nel dialogo tra Massimo il Kausokalyba e Gregorio il Sinaita, Massimo, interrogato sullo sbocciare in lui della preghiera continua, spiega che il suo cuore è stato infiammato da un raggio di fuoco scaturito da un'icona della Madre di Dio.
Le “passioni” mascherano e al tempo stesso vendono a basso prezzo quella passione fondamentale che è la morte. La Filocalia ne enumera sette o Otto: l'avidità (l'ingordigia), la dissolutezza, l'avarizia, la collera (che comprende l'odio e l'invidia), la tristezza (”tristezza per la morte”, dice san Paolo), la pigrizia (come torpore spirituale), la vanagloria e l'orgoglio. Due di esse, l'avidità e l'orgoglio, sarebbero le “madri” delle altre; entrambe esprimono il ripiegamento del mondo attorno all'io (ciò che Massimo chiama philautia), un narcisismo spirituale.
Nella vita di chi ha fatto esperienza della resurrezione, al posto delle passioni si sostituiscono le “virtù”, oppure la passione è trasformata in virtù attraverso la liberazione e “pneumatizzazione” della forza che quella passione monopolizzava. Le virtù sono forze “divino-umane”, nella misura in cui in Cristo e per mezzo di lui le forze dell'umano sono vivificate dalle energie divine di cui esse sono un riflesso.
Le “virtù” - fede, timore di Dio, umiltà, continenza, pazienza, mitezza, speranza -, hanno il loro culmine nell'impassibilità (apdtheia) che ne è la sintesi. “L'impassibilità, dice Massimo il Confessore, non esclude affatto l'amore, ma lo genera”. Infatti, l'impassibilità apre l'uomo all'amore di Dio per le sue creature. Essa cambia il nostro rapporto con il tempo: quest'ultimo non tende più al nulla, ma al Regno, e l'angoscia è sostituita dalla speranza. Chi sa - mediante una conoscenza amorosa - che il Cristo è risorto, e che dunque è presente in lui, in ogni essere e in ogni cosa, può “amare i propri nemici”, come richiede l'Evangelo, e può “abbattere il muro di separazione che noi stessi abbiamo costruito”, come dice Giovanni Climaco. L'impassibilità affina sentimenti, intuizioni, impressioni, essa permette di “sentire” gli altri come se fossimo dentro di loro, e consente di esprimere attenzione e delicatezza pur mantenendo un certo distacco. Essa è libertà interiore. Nello stesso tempo, l'uomo riceve con essa una dignità umile e regale: “Sii come un re nel tuo cuore, sul trono dell'umiltà. Tu comandi al riso di venire, ed egli viene. Tu comandi alle lacrime di venire, ed esse vengono. Tu comandi al corpo, non più tiranno ma servo: fa' questo, ed egli lo fa”.
La contemplazione della natura ('physikè theorìa”)
Una volta purificato e unito al cuore, l'intelletto diventa capace di penetrare la realtà creata con una profondità che sorpassa ogni altra forma di conoscenza, come per una sorta di anticipazione escatologica. Infatti, scrive Massimo nella sua Mistagogia, “il mondo intelligibile (spirituale) nella sua interezza sembra impresso nel sensibile in maniera misteriosa, e in forme simboliche per coloro che sanno vedere, e l'intero mondo sensibile è contenuto in quello intelligibile … Il loro operare è come quello di una ruota dentro a un'altra ruota, come dice il grande veggente Ezechiele quando parla, come mi sembra, di questi due mondi”.
Il Logos, dice Massimo, è il soggetto divino di tutti i logoi, parole essenziali che reggono le cose. L'uomo loghikòs, immagine personale del Logos, è chiamato a diventare il loro soggetto umano. Lo diventa in Cristo, attraverso di lui rivela queste parole essenziali, nello Spirito, non per appropriarsene ma per offrirle dopo aver dato loro un “nome”, secondo il comando ricevuto da Dio nella Genesi, cioè dopo aver impresso su di esse il suo genio creatore. “Tutto prega, tutto canta la gloria di Dio”, scriveva il pellegrino russo, aggiungendo altrove: “Compresi anche ciò che la Filocalia chiama la conoscenza del linguaggio della creazione, e vidi come è possibile parlare con le creature di Dio”.
Questa “contemplazione della natura”, particolarmente cara alla tradizione ortodossa, può non soltanto permetterci di approfondire la conoscenza razionale, come ha sottolineato padre Dumitru Staniloae, ma anche donare senso e gusto a ogni cultura umana. Uno dei più grandi poeti del XX secolo, Rainer Maria Rilke, non ha forse scritto, per definire la propria arte, che essa consisteva nel “raccogliere il miele del visibile nel grande alveare d'oro dell'invisibile”?
Per Massimo il Confessore il mondo, quando lo si vede alla luce dei logoi divini, appare come un'immensa eucaristia: le essenze delle cose sensibili sono il “corpo” di Cristo e quelle dei mondi spirituali il suo sangue . La “contemplazione della natura può, in effetti, diventare anche visione dei mondi angelici e delle cose future.
Se il mondo è una “prima Bibbia”, l'altra incorporazione del Verbo che offre le chiavi per comprendere la prima è la Scrittura. In Cristo, infatti, la Parola cessa di essere ombra e mistero.
Lo stesso Spirito agisce nelle profondità del mondo, in quelle della Scrittura e nel cuore dell'uomo. La lettura orante della Scrittura ha dunque anch'essa un sapore eucaristico. All'infuori della “preghiera di Gesù”, il solo metodo di preghiera indicato dalla Filocalia è tale lettura. In modo particolare la recitazione dei salmi: “Quando ci lasciamo penetrare dagli stessi sentimenti con cui il salmo è stato composto, è come se ne diventassimo gli autori … l'anima si apre a Dio con gemiti inesprimibili”. Quando un'espressione fa trasalire il cuore bisogna fermarsi, restare immobili e lasciar penetrare dolcemente in tutto il nostro essere questo tocco divino.
“Così si accede alla seconda tappa”, scrive Staniloae, “ora il Logos divino si mostra attraverso il velo trasparente della natura e della Scrittura … questa visione si chiama contemplazione naturale, non perché si realizzi con l'aiuto esclusivo delle potenze della conoscenza - essa è sempre sostenuta e pervasa dalla grazia -, ma perché da una parte si dirige verso la natura esteriore, e dall'altra presuppone una natura umana restaurata”.
La deificazione (”théosis”)
Sullo sfondo sempre necessario della metànoia, il cuore-spirito è incendiato da una luce che viene dall'aldilà, che non è interiore né esteriore. Esso passa attraverso un succedersi di negazioni che, al di là delle affermazioni e delle negazioni stesse, divengono “preghiera pura, pura attesa, in cui avviene, o attraverso un susseguirsi di sprazzi di una grande dolcezza, o nell”'improvvisamente” caro a Simeone il Nuovo Teologo, l'irrompere del fuoco e quindi della luce. “Nella sovrabbondanza della sua bontà, Dio”, scrive Gregorio Palamas, “esce in qualche modo dal suo abisso, esce da sé, dalla sua trascendenza, e si unisce a noi attraverso un unione al di là di ogni comprensione … E perché non dovrebbe discendere, lui che è disceso fino ad assumere un corpo, un corpo di morte e di morte sulla croce?”.
Il luogo - l' òrganon - della deificazione, è infatti Cristo, e più in particolare la sua morte-resurrezione. L'anima, trascinata, sollevata dallo Spirito negli spazi trinitari, partecipa all'eterna nascita del Figlio, intuisce l'abisso del Padre e, come ha sottolineato recentemente padre Boris Bobrinskoy, la sua misericordia smisurata. Mistero, in Dio stesso, dell'unità nell'alterità e dell'alterità nell'unità. “Dimore” innumerevoli della casa del Padre. En-stasi ed estasi simultanee.
Questa “piccola resurrezione”, di cui parla Evagrio Pontico negli Apoftegmi, anticipa la parusia. Nella “preghiera pura”, l'intelletto unito al cuore “vede il proprio stato come simile allo zaffiro o al colore del firmamento”. Tuttavia l'anima cristiana, nella sua umiltà e nel suo desiderio non si dissolve in questa luce interiore: muore a se stessa per ritrovare, nell'unione stessa, l'alterità di Dio, e del prossimo. Allora avviene l'infinito incontro: “Talvolta è una gioia ineffabile e di grandi slanci … altre volte, tutta l'anima scende e si tiene nascosta in abissi di silenzio … a volte, infine, l'anima è a tal punto ricolma di dolorosa tenerezza, che solo le lacrime la possono lenire”. Più Dio riempie l'anima della sua luce, più essa si distende verso la sorgente sempre al di là di questa luce, per ricevere ancora e desiderare ancora di più, all'infinito: “L'amore è un abisso di luce, una sorgente di fuoco. Più cola, più rende assetato chi ha sete … Per questo l'amore è un'eterna progressione”.
Il criterio di un autentico progresso spirituale, diceva lo starec Silvano, è l'amore per i nemici. Tutti gli uomini, in Cristo, appaiono “membri gli uni degli altri”, l'unico Adamo nell 'ultimo Adamo. Nello stesso tempo, ognuno è differente e incomparabile.
“Fratello io ti raccomando questo: che in te il peso della compassione faccia pendere la bilancia fino a che tu possa sentire nel tuo cuore la compassione stessa che Dio ha per il mondo” (Isacco il Siro).
“Sorge in me, dentro il mio povero cuore, come il sole … io so che non morirò, perché sono dentro la vita e perché ho l'intera vita che scaturisce dentro di me” (Simeone il Nuovo Teologo).
Destino della “Filocalia”
Se, da una parte, Nicodemo ha elaborato la Filocalia - vera enciclopedia della luce increata - per far fronte all'enciclopedia degli illuministi francesi, egli è nondimeno un bell'esempio di grande spirituale aperto al senso creatore della storia. Così, si è interessato a certe forme occidentali d'ascesi e di mistica, che egli riteneva convergenti con le vie della propria tradizione. Ha tradotto e adattato - aggiungendo per l'appunto un capitolo sulla preghiera di Gesù - il Combattimento spirituale di Lorenzo Scupoli, un teatino napoletano, divenuto il Combattimento invisibile, e una parafrasi, realizzata da un religioso veneziano, degli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola.
Diffusa in Grecia da alcuni monaci scacciati dall'Athos all'epoca della disputa dei collivadi, la Filocalia non è stata ripubblicata in questo paese che nel 1893. In compenso, nel XX secolo, la grande edizione del 1957-1963, ripresa nel 1974-1976, ha favorito il rinnovamento filosofico e teologico - su tutti il nome di Christos Yannaras - e la nuova fioritura della vita monastica, soprattutto all'Athos, con gli scritti di Iosiph l'Esicasta (+ 1954) e Paisios di Cappadocia (+ 1995). E' così che all'Athos, in certi monasteri, le prime ore della notte sono dedicate alla preghiera di Gesù, cosa che implica una certa riduzione degli uffici liturgici: ricorso al silenzio e alla centralità della persona contro un comunitarismo talvolta un po' pesante.
Già nel XIX secolo, un rinnovamento filocalico profondo s'era prodotto nei paesi romeni e soprattutto in Russia (che a quei tempi comprendeva l'Ucraina). Il ruolo essenziale fu espletato da uno starec ucraino: Paisij Velickovskij. Questi era nato a Poltava, sua nonna era ebrea, e si può quindi ipotizzare un qualche contatto tra neo-chassidismo e neo-esicasmo. Disgustato dall'insegnamento mediocremente scolastico dell'Accademia di Kiev, egli si rifugiò in Moldavia, dove sembra fu iniziato alla tradizione esicasta dallo starec Basilio di Poiana Màrului (del resto senza trovare in lui quel padre spirituale che mai riuscirà a trovare). Dopo un soggiorno all'Athos, dove divenne padre di diverse decine di monaci, lui che era stato orfano, Paisij trovò il suo vero posto in Moldavia, dove diresse, a Neamt soprattutto, questa volta alcune centinaia, anzi quasi un migliaio di discepoli. Là egli organizzò gruppi di traduttori e con essi procedette alla pubblicazione dei testi patristici e infine della Filocalia. Questa, tradotta in slavone, fu pubblicata in Russia nel 1793. Paisij, che aveva ricevuto il dono delle lacrime, morì il 5 dicembre 1794.
I suoi discepoli russi portarono al cuore della Russia la preghiera esicasta, facendo rivivere la tradizione di Sergio di Radonezv, Nil Sorskij e Massimo il Greco, tradizione sepolta sotto l'illusoria edificazione di una società sacrale.
Preghiera del cuore e paternità spirituale rinnovarono la vita monastica e permisero ad alcuni grandi starcy di toccare una parte importante dell'intelligencija.
La stirpe degli starcy di Optina è particolarmente conosciuta. Essa culmina nella figura di alta spiritualità e di grande cultura dello starec Ambrogio (+ 1891) che conobbe Dostoevskij, Solov'ev e Leont'ev.
I Racconti di un pellegrino russo, apparsi a Kazan' verso il 1870, precisano il “metodo” mostrando come coordinare, per l'invocazione, il ritmo del respiro e i battiti del cuore.
Il vescovo Teofane il Recluso compila una grande Filocalia russa (Dobrotoliubie, amore del bello), pubblicata nel 1877; egli esclude da essa i capitoli propriamente “teorici”, al tempo stesso speculativi e contemplativi, e tralascia gli aspetti “tecnici” del “metodo” (l'utilizzo del respiro, il luogo del cuore, la luce interiore). In compenso sviluppa la dimensione morale e affettiva, incorporando nella sua edizione ampi testi di Efrem il Siro, Doroteo di Gaza e Teodoro Studita.
La Filocalia russa riflette la sensibilità di un'epoca segnata dal pietismo. Monaci e laici si sono nutriti di questi testi, il che conferisce alla loro spiritualità un certo fervore psicologico a tratti lirico.
Purtroppo, nel 1912-1913, una dottrina un po' rozza, l'onomatodossia (o onomatolatria, per i suoi detrattori) si sviluppa tra i monaci russi dell'Athos. Gli onomatodossi ritengono divino il Nome stesso di Gesù. Il Sinodo della chiesa russa chiede l'intervento dello stato, che invia alcune navi da guerra di fronte alla penisola athonita; i fucilieri di marina sbarcano e arrestano i monaci compromessi. Questi vengono esiliati nel Caucaso dove, più tardi, saranno massacrati dai bolscevichi. Questa vicenda sconvolse gli ambienti intellettuali dell'ortodossia russa. Berdjaev scrisse un violento articolo contro “coloro che soffocano lo Spirito”. In tali ambienti, la teologia ufficiale, soprattutto morale e psicologica, fu sostituita da una teologia “ontologica” e da una profonda riflessione sul linguaggio.
In terra romena, fino alla secolarizzazione massiccia degli anni sessanta del XIX secolo, che inflisse un colpo tremendo al monachesimo e ai suoi legami con l'Athos, si continuò, sulla scia di Paisij, la costituzione di un'importante biblioteca patristica e bizantina, comprendente le opere di Simeone il Nuovo Teologo e di Gregorio Palamas; al monastero di Cernica, il movimento paisiano assunse una diversa sfumatura, nel senso di un più grande servizio sociale, ad opera dell' igumeno Calinic. Dopo il 1860, la tradizione filocalica si perse, eccetto in qualche eremitaggio.
È alla vigilia del secondo conflitto mondiale, in un'epoca di rinnovamento letterario e filosofico, che si opererà in Romania una riassunzione dei fondamenti della vita spirituale. Verso il 1935, padre Dumitru Staniloae, allora professore all'Accademia teologica di Sibiu, pubblica uno studio su La vita e l'opera di san Gregorio Palamas (Sibiu 1938), con la traduzione di quattro brevi scritti di quest'ultimo. In tal modo, nonostante i tempi non siano propizi, Staniloae finisce per progettare una traduzione della Filocalia. Egli non esita, per stabilire i testi, a utilizzare i lavori degli eruditi occidentali, e soprattutto commenta e spiega questi testi sia nella prospettiva della tradizione, sia in quella delle ricerche della cultura contemporanea e alla luce dei problemi posti da quest'ultima. Egli cita i filosofi religiosi russi della sua epoca, pensatori francesi come Maurice Blondel, o tedeschi come Martin Heidegger. All'indomani della guerra e prima della totale presa di potere comunista nel paese, la sua impresa si colloca in un rinnovamento globale della vita esicasta, con circoli di monaci e di laici come il “Roveto ardente”. Così appaiono dieci volumi dal 1945 al 1948, data del colpo di stato totalitario, e poi dal 1965 (nel frattempo padre Dumitru era stato imprigionato) al 1981, epoca della svolta nazionalista del regime.
“Non è sufficiente comandare all'uomo, con belle parole, di vivere secondo la volontà di Dio; bisogna guidarlo … e mostrargli come progredire … verso la luce della conoscenza di Dio … è per questo che gli scritti filocalici ritengono così importante la custodia della mente. Si arriva a vincere realmente le proprie passioni solo quando si è abituati a scrutare attentamente ciascun pensiero per scacciarlo spontaneamente se esso è malvagio, o purificarlo e rivestirlo della memoria (anamnesi) di Dio”.
L'ordine di presentazione dei testi fu da principio cronologico, ma il secondo e terzo volume sono interamente dedicati a Massimo il Confessore. Il secondo volume contiene anche il Liber asceticus e le Quaestiones et dubia, il terzo volume le Quaestiones ad Thalassium. Si trattava di far fronte all'invasione di un marxismo che pretendeva di essere totalizzante ed esclusivo, offrendo una visione d'insieme del pensiero cristiano, e l'opera di Massimo rappresenta la piena maturità della grande patristica. I commenti di padre Dumitru assumono così l'ampiezza di un vero e proprio trattato. “È una legge suprema - conclude Staniloae : tutto ciò che è mortale deve morire per ricevere la resurrezione … O la creatura, se vuole vivere per Dio, s'immola misticamente in Lui, oppure è uccisa dal suo stesso rifiuto. Bisogna scegliere una morte: o la morte verso la vita, o la morte verso la morte”.
Il quarto e quinto volume presentano i padri ascetici dal VII al X secolo, tra i quali molti sinaiti, come nella Filocalia greca. Il sesto volume è dedicato a Simeone il Nuovo Teologo. Il settimo ai grandi bizantini: Niceforo, Teolepto, Gregorio il Sinaita e Gregorio Palamas (a partire dai testi stabiliti per l'edizione greca di Chrestou). L'ottavo volume comprende Callisto e Ignazio Xanthopouloi, Callisto Anghelikoudes, Callisto Kataphyghiotes e una storia dell'esicasmo in Romania. Il nono volume riporta il testo completo della Scala di Giovanni del Sinai (Climaco). Il decimo volume è dedicato a Isacco il Siro.
A differenza della Fiocalia russa di Teofane il Recluso, questa Filocalia riprende e sviluppa lo spirito speculativo e mistico così come il “metodo” corporeo. Sono anche aggiunti alcuni testi di Massimo il Confessore e di Gregorio Palamas. L'insieme ha un carattere fortemente teologico e dogmatico.
L'ultimo episodio, per il momento, di questo destino, è l'incontro tutt'ora in corso tra l'occidente e la Filocalia. La strada è stata aperta nel 1953 con la pubblicazione della Petite philocalie de la prière du coeur, lunghi estratti molto ben tradotti e presentati da Jean Gouillard e presto riprodotti anche nelle principali lingue dell'Europa occidentale. I testi sono nello stesso ordine seguito dalla grande Filocalia greca, le note fanno il punto delle ricerche.
Poi sono venute le traduzioni integrali: in inglese nel 1979-1984 (a cura di Gerald E. H. Palmer, Philip Sherrard e Kallistos Ware); in italiano, nel 1982-1987 (a cura di alcune monache di Monteveglio); in francese, in fascicoli e poi in edizione completa nel 1995 (a cura di Jacques Touraille).
La diaspora russa ha certamente giocato un ruolo importante in questa diffusione, dato che le scuole neo-patristica e neo-palamita consideravano la Filocalia e l’esicasmo come la messa per iscritto contemplativa dell'esperienza cristiana. Tuttavia questa corrente è sfociata piuttosto in un notevole sviluppo della teologia sacramentale; tra i suoi grandi rappresentanti, solo Boris Bobrinskoy ha tentato di stabilire un legame tra l'esicasmo e tale spiritualità eucaristica.
Sono personalità isolate come André Scrima, il “monaco della chiesa d'Oriente” (Lev Gillet), Kallistos Ware, Elisabeth Behr-Sigel, che hanno fatto conoscere la “preghiera del cuore”. E forse soprattutto le molte traduzioni dei Racconti di un pellegrino russo.
La Filocalia era attesa, ed è stata profondamente recepita. La sete di vita spirituale è immensa. Crescono l'interesse per l'India e il buddismo, si inizia ad abbozzare un'antropologia capace di integrare il corpo con il cosmo. Ed ecco che appare, con la Filocalia, un cristianesimo che pur non ignorando alcun elemento delle tecniche ascetiche è però al servizio della persona e della comunione, e non di una mistica fusionale. Certo, le ambiguità non mancano: alcuni, del “metodo”, considerano solo ciò che è più o meno simile al dhikr o al nembutsu. Ci si trova allora in pieno sincretismo. Ma altri, molto più numerosi, pregano la “preghiera di Gesù” perché lo amano e perché sentono in tal modo risvegliarsi il loro cuore.
Conosco molti monaci e laici, cattolici, anglicani, protestanti, veri “cercatori di Dio” al di là di ogni appartenenza confessionale che, nella discrezione e nel silenzio, sono impegnati su questa via. Tutta la loro visione di Dio, dell'uomo, della cultura ne risulta riplasmata.
La maggior parte degli ortodossi sono ignari di tutti questi sviluppi. E tuttavia, nella situazione attuale, piena di pericoli e promesse, si tratta di una immensa e feconda responsabilità.
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Traduzione dal francese a cura della Comunità di Bose



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